IMPERFETTI by CECY ROBSON

IMPERFETTI by CECY ROBSON

autore:CECY ROBSON [ROBSON, CECY]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788854900202
editore: QUIXOTE EDIZIONI


Capitolo Dodici

Mi misi a sedere sul mio vecchio lettino, nella mia vecchia camera, nella grande villa in cui ero cresciuta, stringendomi il piumone pesante contro il petto. «Papà?»

Non mi rispose. Era vicino, però. Avevo sentito un rumore.

«Papà?»

La mia voce tremò e lo stessero fecero le mie mani, sempre più strette. Sapevo che dovevo abbandonare il letto, ma non volevo. Qualcosa di terribile mi aspettava fuori dalla cameretta.

«Papà… papà?»

Le mie gambe si mossero lentamente, costringendomi a scendere dal letto e a muovermi barcollando, mentre lottavo per attraversare il grande appartamento.

«Papà?»

Le lacrime mi bagnarono le guance, cadendo copiose. Raggiunsi la porta che era rimasta socchiusa, quando era passato in camera mia a salutarmi. Cos’aveva detto prima di andarsene?

«Papà!»

Mi aggrappai allo stipite della porta, usandolo per cercare di stabilizzarmi e ricacciare indietro il mio panico crescente. La sua stanza mi aspettava alla fine di quell’ala. «Papà, c’è stato un rumore.» La mia voce si spezzò, lasciando uscire i primi singhiozzi. «L’hai sentito?»

I miei piedi nudi premettero sulle lisce assi del pavimento. Perché non mi rispondi?

Sapevo il perché.

Proseguii, premendo la mano sul muro per riuscire a rimanere in piedi mentre raggiungevo la fine del corridoio.

Le mie mani tremanti spinsero la porta.

E io trovai mio padre.

Giaceva in un lago di sangue. Non aveva più la faccia. Era esplosa insieme a buona parte del suo cranio.

Mi svegliai in iperventilazione, senza sapere dove fossi. Mi servì un istante per capire che ero sola, nel letto di Mateo. Non volevo chiamarlo. Non come avevo chiamato mio padre. Teo non poteva essere morto allo stesso modo.

La stanza attorno a me vorticava come una girandola ed ero in preda alla nausea quando barcollai verso il bagno. Non volevo svenire e mi sforzai di calmare i respiri convulsi. In qualche modo, riuscii a raggiungere il lavandino e aprii il rubinetto dell’acqua fredda al massimo.

Mi spruzzai, ignorando il lago che stavo facendo, schiaffeggiandomi con forza la faccia. Mateo non poteva trovarmi in quelle condizioni. Non di nuovo. Così mi lavai con più veemenza, espellendo l’immagine del cadavere di mio padre dalla mia mente. Di tutte le cose che avrei potuto sognare, perché lui e perché adesso?

Scivolai a sedere sul water, ansimando e sbuffando. Merda. Smettila. Afferrai il bordo del lavandino, lottando per controllare il panico. «È stato solo un sogno,» insistetti.

Il problema era che non si trattava solo di un sogno. Avevo davvero trovato mio padre così.

Mi servì un’eternità per calmare il respiro. Quando ci riuscii, mi sentivo come se fossi stata buttata fuori da una macchina in corsa. I muscoli mi dolevano e gemetti quando mi resi conto, finalmente, che avevo lasciato l’acqua aperta. Mi alzai e chiusi il rubinetto, quindi presi un asciugamano da un gancio e asciugai le prove del mio attacco di panico nel bagno di Teo.

Sentii una chiave scivolare nella serratura della porta d’ingresso e chiusi di colpo la porta del bagno, spaventata. Sapevo che era Mateo, ma non volevo che mi vedesse, non ancora; non con le ciocche di capelli fradice che mi pendevano da tutte le parti e la maglietta bagnata appiccicata al petto.



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